[:it]Inizialmente anche per Jung, i transfert tra paziente e psicoterapeuta sono fondamentali all’interno di un percorso terapeutico, ma con il tempo il concetto di transfert subisce sostanziali modifiche all’interno del sua idea di psicoterapia. Jung si staccherà concettualmente da Freud e proporrà la relazione psicoterapeutica come un modello circolare, entro il quale, analista e paziente devono mettere in gioco tutta la loro personalità. Scrive Jung nella prefazione alla sua opera La Psicologia della Traslazione del 1946: “Poiché la traslazione è una forma di relazione, essa presuppone sempre un “Tu”. Dove la traslazione è negativa, о manca del tutto, il Tu ricopre un ruolo insignificante, come succede di regola, ad esempio, nel caso di un complesso di inferiorità accompagnato da un impulso compensatorio di autoaffermazione”.
Già nelle prime pagine del testo Jung introduce la sua visione riguardo il cosiddetto processo alchemico che, secondo Lui, meglio rappresenta una perfetta metafora della relazione psicoterapeutica; lo fa servendosi delle immagini tratte dal Rosarium philosophorum, un testo alchemico del XIII secolo, attribuito ad Arnaldo da Villanova (1235-1315), medico e alchimista, per descrivere in maniera metaforica la relazione psicoterapeutica, in questo testo le immagini di congiunzione tra gli opposti e il processo per raggiungerla diventano il substrato immaginale per il suo discorso teorico sulla relazione di cura psicologica.
Jung sceglie quindi l’alchimia come la miglior metafora per analizzare le fasi del processo psicoterapeutico , egli infatti pensava che l’alchimia, considerata metaforicamente, fosse stata una precorritrice dello studio dell’inconscio, gli alchimisti infatti avevano come primo fine quello di creare, da elementi di scarso valore, qualcosa di prezioso (oro o pietra filosofale). Il secondo obiettivo era quello di dare vita alla materia vile trasformandola in spirito, liberando l’anima dalla sua prigione naturale. Per certi versi sono gli stessi intenti di una relazione psicoterapeutica, l’immagine del terapeuta, come un alchimista ha una potenza enorme con una serie di ricadute anche teoriche sul concetto di transfert, ma ancora di più sul concetto di controtransfert.
Il terapeuta non è più un essere distaccato che valuta e interpreta, ma una persona che vive, immersa nel rapporto con il paziente. Il fattore relazionale era essenziale nel processo alchemico: l’alchimista lavorava sempre assieme ad un’altra persona. Non c’era un alchimista che lavorasse da solo, come d’altro canto, non esiste un terapeuta senza paziente. Talvolta quando nel laboratorio alchemico veniva a mancare l’altro, l’alchimista immaginava un altro chiamandolo soror mystica, sorella mistica, questo perché l’alchimista, per portare a compimento la sua opera, necessitasse di un altro, di una relazione e la relazione psicoterapeutica è il luogo e la cura
Il controtransfert, detto anche controtraslazione, indica il vissuto emotivo del terapeuta nei confronti del paziente. Questo vissuto era considerato da Freud un elemento di ostacolo nella progressione della terapia, poiché invalidava quell’atteggiamento di impassibilità e di distacco emotivo che egli raccomandava in Tecnica della Psicoanalisi del 1912, con la cosiddetta regola dello specchio: “Il medico dev’essere opaco per l’analizzato e, come una lastra di specchio mostrargli ciò che gli viene mostrato”.
Jung partendo dal concetto che la relazione psicoterapeutica è la cura, ritiene che il controtranfert non solo non è eliminabile, ma è una parte indispensabile della terapia stessa, lo stesso Jung scriveva in Problemi della Psicoterapia moderna: “Non giova affatto a chi cura difendersi dall’influsso del paziente, avvolgendosi in una nube di autorità paternalistico-professionale: così facendo egli rinuncia a servirsi di un organo essenziale di conoscenza” . Il controtansfert nella relazione psicoterapeutica non va respinto ma controllato, Jung propone la metafora del padre quando si rapporta col figlio giocando con lui. La relazione prevede una presenza reale dei due, ma contemporaneamente, il padre deve controllare ciò che sta avvenendo per salvaguardare il figlio e se stesso. Padre e figlio, trovano nella relazione l’aggancio per crescer, entrambi crescono, il figlio diventa più forte grazie al padre vicino a sé e il padre sempre più consapevole del suo ruolo.
Nel proseguo della relazione psicoterapeutica, il terapeuta mette in gioco la sua visione delle cose del mondo, egli, in qualche modo, rivela la sua anima. E’ chiaro che tale esposizione richiede al terapeuta una specifica formazione e una capacità di leggersi dentro, ma soprattutto richiede che egli abbia un atteggiamento etico e onesto e creda in ciò che fa. E’ questo senso del limite, del precario, ma anche dell’infinito che si dispiega nell’anima, che mette in relazione il terapeuta e il paziente e che aiuta entrambi ad evitare fantasie onnipotenti, narcisistiche e un inutile dogmatismo. E’ la consapevolezza del mistero che dà un senso etico alla relazione.