Per molti aspetti l’alchimia stessa è un paradosso giacché parte dalla materia prima (che contiene gli opposti in forma disgiunta) e arriva alla riunione degli opposti nel lapis philosoforum , questa è la fase della coniunctio, la fase finale del processo trasformativo: siamo al momento del movimento dinamico degli opposti, che nell’individuo può cominciare ad assumere forma prendendo consapevolezza delle proprie contraddizioni, attraverso un senso di centralità. Questa tappa è caratterizzata dall’incontro con l’archetipo del Sé. Tale archetipo è la summa del percorso di individuazione, il fine dell’individuo che si dispiega avanti a lui, come un fiore che sboccia. Viene spesso rappresentato come luce, come mandala, come quaterna, come centro e come Dio. L’archetipo rappresenta l’individuo stesso, tutto ciò che durante la strada ha visto e ha accumulato, se l’individuo ha incontrato il Sé significa che l’Io è coerente con esso. Non andarci incontro significa semplicemente che il percorso non è ancora terminato.
Questi potenti processi di congiunzione non ci portano assolutamente verso un equilibrio strutturale statico, la congiunzione è dinamica, il processo non finisce mai. E’ una consapevolezza, complessa – che personalmente mi è costata anni di riflessioni ed errori – è quanto deriva da un altro mirabolante (e difficile) scritto: Mysterium Coniuctionis, sul dinamismo dell’atto congiuntivo, scrive infatti lo stesso Jung con un certo senso scettico: “la diretta intuizione del mondo interno archetipico presenta perlomeno altrettanti dubbi sulla sua giustezza, della percezione del mondo esterno. Se siamo convinti di possedere una verità definitiva sulle cose metafisiche (ma anche su quelle psicologiche e fisiche ndr) significa assai semplicemente che alcune immagini archetipiche hanno preso possesso della nostra capacità di pensare e sentire e che queste ultime hanno perso il carattere di funzioni a nostra disposizione” . E’ il rischio della saturazione archetipica, in cui, come sintetizza Vadalà “la psiche (…) rivela la propria natura conflittuale. La coscienza è, ma è in quanto conflitto, e la congiunzione degli opposti è il fardello umano. Questa scissione porta difficoltà, le difficoltà che l’Opera alchemica tenta di sanare riconciliando gli opposti (..) Le difficoltà restano oggi come sempre, ma oggi l’analisi si limita a seguire i singoli uomini. Questa impresa individuale Jung la chiama itinerario verso l’individuazione” . E’ il momento del movimento dinamico degli opposti, la consapevolezza delle proprie contraddizioni, può cominciare ad assumere forma un senso di centralità, questa tappa del cammino è caratterizzata dall’incontro con l’archetipo del Sé. Tale archetipo è la summa del percorso di individuazione, il fine dell’individuo, l’archetipo rappresenta l’individuo stesso, tutto ciò che durante la strada ha visto e ha accumulato, se l’individuo ha incontrato il Sé allora significa che l’Io è allineato con lui. Il non andarci incontro significa semplicemente che il percorso non è ancora terminato. Vorrei terminare questo breve excursus con una riflessione di Hillman, che trovo estremamente appropriata, e che mi è stata di aiuto nell’affrontare questo testo, afferma che partendo da questa teoria generale della trasformazione, vi sia “Il linguaggio dell’alchimia che può rivelarsi di aiuto più prezioso per la terapia junghiana. Il linguaggio alchemico è una modalità di terapia; è terapeutico in se”.