Tra i primi a citare il concetto di Complessi c’è Pierre Janet, che nel 1899, li chiamò Automatisme Psycologique; partendo da questa teoria ed evolvendola, Jung sottolineerà che i processi di dissociazione della psiche, oltre a creare dei “frammenti psichici o personalità parziali”, possono anche portare a creare una doppia coscienza o una personalità scissa. Successivamente, dopo i lunghi studi sui fenomeni associativi, nella suo testo titolato Considerazioni generali sulla teoria dei complessi (Jung, 1934) Jung riprende i risultati dei suoi esperimenti, attraverso i quali ha scoperto che in casi specifici le velocità di reazione ad uno stimolo associativo sono disturbati dal comportamento autonomo della psiche. Nello stesso articolo in cui esamina e critica i limiti di tale esperimento: “la situazione sperimentale assimila a se l’organizzazione sperimentale e perfino lo scopo che è alla base dell’esperimento” (Jung, 1934), introduce alcuni concetti chiari su cosa siano i Complessi e quale sia la loro importanza nell’economia generale di una struttura psichica .
E’ interessante notare come, in questo scritto del 1934 siano anticipate alcune delle tematiche connesse all’intenzione e al libero arbitrio su cui tanto si discute oggi, soprattutto dopo gli sviluppi degli ultimi studi neuro scientifici; le moderne neuroscienze ci mostrano infatti che la consequenzialità temporale tra il pensiero e l’azione è frutto di attività complesse e parallele e che la consequenzialità temporale è solo un illusione della nostra coscienza. Ad esempio: “un’attività cerebrale direttamente connessa alla produzione di un movimento si verifica circa 350 m.sec prima che ci sia la consapevolezza della decisione di compiere il movimento stesso” (Merciai e Cannella, 2009). Jung introduce il concetto di complesso riferendolo sia all’Io, sia ad altre strutture psichiche che, nel loro insieme, costituiscono la nostra personalità. Possiamo concepire i complessi inconsci come personalità parziali, caratterizzate ciascuna da una sua specifica tonalità affettiva, capaci di generare pensieri, emozioni e rappresentazioni, di orientare le percezioni e di influire sull’azione. Jung definisce i complessi inconsci come “frammenti psichici, i quali devono la loro scissione a influssi traumatici (in un altro testo scrive: “a esperienze dolorose o penose della vita individuale”) o a tendenze incompatibili con i valori coscienti. In quanto inconsci, i complessi sfuggono al controllo dell’Io e tendono a comportarsi come personalità parziali dotate di una loro energia e di una loro autonomia. I complessi inconsci costituiscono ciò che Jung chiama inconscio personale. Jung stesso utilizza la metafora dell’immagine per descrivere un Complesso a tonalità affettiva scrivendo: “È l’immagine d’una determinata situazione psichica caratterizzata in senso vivacemente emotivo che si dimostra inoltre incompatibile con l’abituale condizione о atteggiamento della coscienza. Questa immagine possiede una forte compattezza interna, ha una sua propria completezza e dispone inoltre di un grado relativamente alto di autonomia, (..) si comporta perciò, nell’ambito della coscienza, come un corpus alienum animato.” (Jung, 1934).
Complessi e Archetipi
I complessi sono l’incarnazione particolare, nella storia di ciascun individuo, degli universali archetipici. Quanto più i contenuti del complesso sono lontani dalla coscienza, tanto più si confondono con contenuti arcaico – mitologici: il che porta a evidenziare i motivi archetipici, cioè universali, che ne sono il fondamento. I complessi sono, per così dire, variazioni individuali su temi universali, esaminiamo, ad esempio, il complesso materno nel suo legame con l’archetipo materno, si tratta di una tematica che ricorre nel caso clinico esposto nel quali aspetti funzionali di questo complesso, nelle due declinazioni, emergono con una certa frequenza. Possiamo affermare con buona certezza che tutti, abbiamo una madre, e la madre – come motivo mitico – si presenta sia come una dea che presiede all’alimentazione e alla crescita, sia come una divinità imperiosa, che trattiene e divora il figlio (o la figlia) che non sia riuscito a sottrarsi al suo dominio; possiamo quindi affermare che il nucleo transpersonale di ogni complesso sia costituito da problemi e conflitti che toccano tutti gli uomini. Succede quindi che man mano che con l’analisi scendiamo insieme al paziente alle radici del complesso, oltrepassiamo il limite dell’inconscio personale e assistiamo all’emergere di quello che potremmo chiamare il suo fondamento archetipico. Se prendiamo ancora ad esempio il complesso materno, vedremo che a un certo momento il paziente comincerà a produrre (nei sogni, nelle fantasie, nei disegni etc.) delle figure che possiamo chiamare mitiche, sia in quanto nettamente caratterizzate, sia in quanto dotate di una particolare numinosità, cioè di una intensa capacità di fascinazione, e ciò tanto in positivo che in negativo. Il complesso si modellerà quindi sulle caratteristiche archetipiche ereditando sempre più l’aspetto a due polarità, a coppie di opposti.